Cara amica, caro amico che hai scelto di dare fiducia al Partito democratico, sento di ringraziarti.
Le lunghe ore dello scrutinio protrattosi fino all’alba non sono state semplici. Ma non per una sconfitta che era nell’aria, bensì per l’entità di un crollo oltre le prevedibili attese. Gli elettori hanno scatenato una forte reazione emotiva contro di noi. Come uno sparo all’impazzata. Non si può negare il fallimento frutto di una gestione del partito e di una comunicazione non sempre condivisibile, che gli italiani non hanno digerito. L’esito insegna a chi non vuole capire come l’unica narrazione tollerata dall’elettorato sia la realtà senza mezze misure. Perché se ci sono “due Italie” (una in ripresa e l’altra che ancora arranca) non puoi parlare alla stessa maniera. Viviamo un tempo in cui il gap tra il Nord e Sud è tutt’ora notevole: lo fotografa bene la cartina elettorale mostrante la penisola spaccata in due: la macchia gialla del Movimento 5stelle al Sud e la blu del centrodestra al Nord la dividono, interrotta solamente da piccola chiazza rossa del centrosinistra in quei baluardi dove la tradizione supera la tendenza.
Sono stati i c.d. “luoghi di conflitto” a girarci le spalle, dove i giovani faticano a trovare lavoro, gli adulti sono licenziati o cassintegrati e la povertà raggiunge record negativi. Luoghi dove non sempre le nostre bandiere sventolano e la nostra assenza ha il sapore del tradimento. E’ qui le sensazioni di abbandono crescono trasformando la sfiducia quasi in sentimento di odio, a volte aprioristico, verso il nostro partito. A tratti comprensibile a tratti meno, consentitemi. In un clima così teso, aggravato dai toni aspri di una campagna sui social, non è stato possibile ristabilire la connessione con la nostra gente. Ci siamo spesi con le sole armi del confronto pacato e dello scontro responsabile e non sono bastate. Non è bastato il tentativo di correggere il tiro beccandoci gli insulti pur di rivolgerci a chi era finanche indisposto ad ascoltarci, a darci retta; sovente venivamo liquidati con un “siete in gamba, ma appartenete al Pd”. Il Pd: il motivo di tanta diffidenza. Quel Pd che tante volte ci ha inorgogliti (e di cui andiamo fieri per il lavoro complessivo della legislatura appena superata) oggi è un’etichetta completamente negativa, anti-meritoria; incapace di suscitare opportuni distinguo I tra le persone e la casa comune a cui appartengono.
E così l’impatto della protesta ha travolto, oltre alla provincia di Caserta, anche il nostro comune dove il Pd, nonostante sia una realtà sensibile, presente e sempre vicina ai più deboli, registra un deludente ed immeritato risultato. Ciononostante, ritengo disonesto affermare o solo pensare che le percentuali elettorali siano figlie del Pd recalese o dei Giovani Democratici, di cui mi onoro di essere orgoglioso portavoce. Si commetterebbe un grosso errore di valutazione. Infatti paghiamo le spese per scelte non nostre, sbagli di cui non siamo, per ovvi motivi, responsabili.
Vorrei davvero che tutti, specie ad oggi, riconoscessero il Pd a Recale quale indispensabile centro pulsante della politica locale nonché palestra di formazione politica, che ha curato l’organizzazione e la regia politica della lista arrivata seconda alle comunali di giugno per soli 238 voti. Quello che proponendo i propri candidati ha intercettato oltre quattrocento consensi, dopo anni lunghissimi di assenza dalle elezioni comunali. Un gruppo fatto di persone eccezionali, preparate e con una bella storia di militanza alle spalle, da ormai sette anni diventata anche la mia; un circolo benvisto e da molti riconosciuto importante per il lavoro che svolgiamo anche a riflettori spenti. Per passione e non per convenienza; per amore del territorio e non per interesse. In una parola: costanza; e ancora: presenza. La stessa che con responsabilità e serietà abbiamo garantito domenica (e lunedì) ai seggi, come rappresentanti di lista, restando da soli, mentre gli altri appresi i dati sono andati via; fino alla chiusura dell’ultimo seggio, al fianco di scrutatori e presidenti, supportandoli e collaborando con loro. Questi siamo e questo rappresentiamo, non permetto a nessun osservatore, esperto o improvvisato che sia, di sminuire gli sforzi che facciamo da moltissimi anni.
Oggi il Pd è un vestito che sta stretto a quelli come me, spinti da una forte motivazione ideologica, ma non per questo è da cestinare. La mia famiglia mi ha insegnato che “buttare” è l’ultimo atto da compiere quando qualcosa non è più funzionale. Per questo, anche se il dilemma “continuare o lasciare” non si pone affatto, dico che malgrado tutto resto: resto orgoglioso di anni di militanza, di impegno condiviso con ragazzi sensibili e appassionati. Resto perché so che quando un vestito stringe troppo è possibile spostare i bottoni o, in extremis, scucirlo. Scucirlo vuol dire cambiargli forma. Allo stesso modo, il Partito Democratico deve mutare la sua forma avviando un esercizio di autocritica verticale, dalla cima alla base, e la ricerca degli orizzonti originari.
Non ci arrendiamo, non nella difficoltà. Come buoni compagni tiriamo su le maniche e ricominciamo. Senza noi al paese mancherebbe una struttura organizzata ad interessarsi dei problemi e delle istanze del paese: dai cestini, agli alberi, alle politiche sociali fino all’annoso problema degli allagamenti. Ricominciamo poiché non siamo fatti per osservare il mondo dalla finestra: siamo quelli delle strade e delle piazze, e non ci pesa alzarci presto la domenica per montare un gazebo se torniamo a casa arricchiti da una chiacchiera con voi, da una mattinata di confronto, di politica.
Dico grazie a voi, cari elettori del Partito Democratico, perché anche se pochi rispetto al passato, ci dimostrate quell’affetto e quella carica che per la nostra macchina è come benzina quando la spia della riserva si accende.
Perché mi avete dato la possibilità di ragionare su tutto questo, grazie.
Grazie 784 volte, la passione non è finita!