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Una congiura
del silenzio

intervista a
Enrico Deaglio

 

Baghdad - il blog di Enzo in Iraq

 

 

 

 

rassegna stampa

 

 

 

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L'ULTIMO POST

 

Uno dei suoi tanti amici mi ha mandato poco fa per email l'ultimo post di Enzo. Un vero e proprio testamento, perche' queste righe lo rappresentano tutto.

 

"Mettiamola così: nelle prossime 24 ore ho la possibilità abbastanza concreta di crepare. Ovviamente non succederà - ma, se dovesse succedere, sappiate che sono morto felice facendo quello che più mi piace al mondo: viaggiare in paesi che non hanno mai visto un turista prima di me." e.

 

Postato da Pino Scaccia - la torre di Babele

 

 

Baldoni e' stato abbandonato

Nuovi dubbi sulla fine di Baldoni. La Mezzaluna rossa:
«Mai nessuna trattativa»

 

Il racconto fatto al giornalista Marco Mostallino da “una fonte della Mezzaluna rossa irachena” si basa sulle informazioni dell’altro responsabile del convoglio umanitario, Mazen al Samraa. E dice che la macchina di Baldoni e del suo interprete Ghareeb, non era la prima ma la seconda del convoglio che la Mezzaluna irachena aveva vivamente sconsigliato di organizzare perché troppo pericoloso. Preceduta da una macchina con autista iracheno, l’auto di Baldoni sarebbe stata bersagliata da fucilate e la fonte ritiene che l’agguato fosse mirato proprio a prendere il giornalista. La fonte irachena di Reporter Associati sostiene per altro che la Farnesina non ha mai neppure avviato nessuna trattativa per la liberazione di Baldoni. «Ci domandiamo perchè nessun canale di trattativa è stato aperto», è uno degli inquietanti interrogativi della fonte che si protegge nell’anonimato.

 

dall'Unità online - 28.08.2004

 

 

Oggi, venerdì

La verità sta emergendo. E' l'unica piccola soddisfazione
di una giornata tristissima

 

di Giacomo Papi - diario.it

Non so, mentre inizio a scrivere, perché lo sto facendo. Se le parole faticheranno a uscire o usciranno tutte insieme. Ho addosso una specie di stordimento e rabbia. Il pensiero della sua bellissima famiglia, dei suoi figli meravigliosi è così pesante, in queste ore, da essere quasi fisico. Pesa il dubbio di avere contribuito in qualche modo a oliare il suo destino, in cui Enzo tanto credeva.

 

Nelle ultime ore, Croce rossa e Ministero degli Esteri riconoscono che nella sostanza i fatti sono andati come noi abbiamo scritto nell'inchiesta uscita oggi. Enzo Baldoni e Ghareeb vengono attaccati mentre aprono un convoglio di Croce e Mezzaluna rossa che da Najaf, sta tornando a Baghdad, via Kufa. Non viaggiano soli. Non hanno commesso inutili imprudenza.

 

La verità era il nostro unico dovere nei loro confronti. Avere capito e scritto la verità è l'unico pensiero che in questi momenti ci conforta. Tutti coloro che hanno accreditato la tesi di Enzo come di uno sprovveduto kamikaze del giornalismo, un Rambo naif, dovranno ricredersi e ammettere che si trattava di una brava persona e di un giornalista bravissimo. La sua fine è quella di una vita bella.

 

 

l'Unita' - 27.08.2004

Un ficcanaso dalla parte dei vinti

di Marina Mastroluca

 

Un ficcanaso con lo sguardo innocente. Non perché sia lui, Enzo Baldoni, a raccontarsi così sul suo diario on line, quel «Bloghdad» che lasciava introdurre da Graham Greene per spiegare che razza di cronache i suoi lettori si sarebbero trovati davanti: «Ho scritto quello che ho visto, non ho preso parte all’azione - anche un’opinione è una sorta di azione». Partito per Baghdad per rispondere alla «solita vocina tra la panza e la coratella», a leggerlo sulle sue pagine Baldoni è l’esatto contrario del rambo assetato di gloria e avventura che qualcuno in questi giorni ha cercato di contrabbandare, liquidandolo come un ostaggio di serie B, uno «che se l’è andata a cercare». Piuttosto il contrario: in Iraq Enzo sembra entrare in punta di piedi, per cogliere il lato meno visto, meno logorato dallo stillicidio dell’informazione quotidiana che si ferma più spesso alla cronaca dei fatti, al sangue, agli spari, e non ha tempo per il resto. Baldoni spedisce frammenti d’umanità, immagini, l’altra faccia della guerra, con la preoccupazione di sbirciare nel baratro e riportare a casa la pelle.

 

Pacifista, contrario alla guerra certo. Un collezionista di stati d’animo. Le parole sono ancora le sue. Uno che non sa stare fermo, che non riesce a stare in finestra, dicono di lui gli altri, quelli che lo hanno conosciuto. «Aveva lo sguardo di chi vuol capire da sé, senza essere indottrinato da nessun altro», è il ricordo di Stefania Rumor, caporedattore di Linus, la rivista con la quale Enzo Baldoni collaborava da una ventina d’anni, traducendo le strisce di Doonesbury e spedendo di quando in quando i suoi reportage dai punti più disparati della terra. Il Chiapas, il Messico, Timor Est, la Birmania, la Colombia, luoghi dove si imbatte in figure quasi leggendarie, il subcomandante Marcos, il leader timorese Xanana Gusmao. «Incontrare rivoluzionari in giro per il mondo - scriveva sul suo blog con una punta d’ironia - diventa una droga». I suoi reportage escono su Diario, Specchio, Repubblica.

 

Cinquantasei anni portati con leggerezza, umbro di nascita e milanese d’adozione, una moglie e due figli di 21 e 24 anni, quei ragazzi apparsi in tv a chiedere con gentilezza la sua liberazione, il sorriso sulle labbra così simile al suo. Sul suo sito internet Baldoni elenca la sua variegata carriera di collezionista di situazioni, uno che ha fatto «il muratore in Belgio, lo scaricatore alle Halles, il fotografo di nera a Sesto San Giovanni, il professore di ginnastica, l’interprete e il tecnico di laboratorio». Al giornalismo Enzo Baldoni ci arriva per caso, non è quello il suo mestiere ufficiale, che lo vuole pubblicitario per uno studio, «Le Balene» fondato in proprio nonostante lo avessero chiesto «numerose e note agenzie». «Il più grosso creativo d’Italia», si definiva, scherzando sulla sua statura d’omone grande e grosso e sulla sua pancia. Creativo lo era davvero, però, le sue idee piacevano, come quella di mostrare l’efficacia di un rasoio per pelli sensibili mettendolo alla prova su palloncini coperti di schiuma da barba. Un lavoro che faceva con passione, ma che non era tutto. Dice il suo socio Marco Andolfato, Enzo «era un irregolare anche in questo, sfuggiva a qualsiasi inquadratura».

 

Freelance per caso, si potrebbe dire, o per la necessità di scrivere, di sentire i tasti sotto le dita e tramutare una cronaca di guerra in una realtà comprensibile, perché fatta di uomini a tre dimensioni. Di questo suo bisogno parlava sul suo blog, più che dell’adrenalina da pompare nelle vene per sentirsi vivo, descrivendosi un giornalista «sempliciotto» al confronto con gli inviati veri, quelli che lavorano da professionisti e raccontano la guerra che si vede sui Tg. Un reporter d’assalto in costume da bagno rosso nella piscina deserta dell’hotel Palestine - paradossalmente specchio della guerra che imperversa fuori - dove un cameriere gli offre un mazzolino di fiori quasi per compensarlo di tanta solitudine. Un fotografo che affronta il reparto grandi ustionati nell’ospedale della Croce rossa di Baghdad, per ritrovarsi con le lacrime agli occhi davanti ad una bimba che gli ricorda sua figlia Gabriella da piccina. Uno che senza sapere esattamente come, anche qui quasi per caso, perché laggiù qualcuno chiede aiuto, si ritrova in un convoglio per Najaf dopo aver domandato al suo autista-interprete, quel Ghareen che ha condiviso la sua sorte, se per caso non fosse matto a proporgli un’impresa tanto assurda.

 

Un camion di aiuti, più che uno scoop, questo l’obiettivo del viaggio, come in futuro sarebbero stati i piedi di Mohammed, la protesi promessa ad un ragazzo ferito da una cannonata mentre portava la moglie a partorire. E la curiosità di capire, anche Al Sadr - «sarebbe bello riuscire a intervistarlo» - e i suoi uomini pronti a morire. «Qualcuno pensa che io sia un mezzo rambo che ama provare emozioni forti, vedere la gente morire e respirare l’odore della guerra come Benjamin Willard l’odore del napalm la mattina in “Apocalipse now” - aveva detto una volta -. Invece sono lontano mille miglia da questa mentalità, molto sempolicemnte sono curioso. Voglio capire che cosa spinge persone normalissime ad imbracciare un mitra». Era questo il succo della storia, pensare di avere davanti comunque esseri umani. «Benevolo verso tutti e verso tutto», anche troppo buono, lo descrivono. È lui a sventolare la bandiera della Croce rossa nei vicoli di Najaf per aprire la strada, camminando a piedi davanti a tutti, al convoglio bloccato dai combattimenti, come raccontano i colleghi.

 

Quel suo sorriso aperto sembrava potesse essere il suo passepartout anche con i suoi sequestratori. Gli era servito in Colombia, quando rapito dalle Farc riuscì a intervistare un capo della guerriglia e a ritornare a casa. Allora riuscì a far breccia nell’umanità dei guerriglieri che aveva davanti, uomini anche loro. Stavolta non è andata così.

 

 

l'Unita' - 28.08.2004

"Una congiura del silenzio sulla tragedia di Enzo"

intervista a Enrico Deaglio, direttore di Diario

 

«La tragedia di Enzo Baldoni è costellata da tanti, troppi silenzi. Silenzi sospetti. Non so se è giusto parlare di una congiura del silenzio. Quel che so è che la verità sulla morte di Enzo è tutta da ricercare». A parlare è Enrico Deaglio, direttore di Diario, il settimanale con cui Enzo Baldoni collaborava. «La morte di Enzo - sottolinea Deaglio - racconta di un Iraq in balìa di bande armate; un Paese nel quale non esiste un controllo del territorio. Un Paese-trappola dal quale dobbiamo andarcene».

 

Dalla Croce Rossa ai servizi di intelligence italiani. C’è chi sostiene che Enzo Baldoni è stato abbandonato al suo tragico destino.
«Enzo Baldoni è stato sequestrato, rapito nell’occasione di un attacco militare alla sua macchina che apriva il convoglio della Croce Rossa italiana che tornava da Najaf a Baghdad nel primo pomeriggio di venerdì 20 agosto. La macchina è stata assaltata, l’autista - Ghareeb, un giordano palestinese - è stato ucciso, tra l’altro in maniera barbara. Subito dietro viaggiava il resto del convoglio della Croce Rossa, cioè un camion, altre macchine, un’ambulanza che sono passati velocissimamente, proprio a tavoletta. Qui non si può fare alcun addebito di omissione di soccorso, perché era impossibile fermarsi. Chi si fermava lì era inevitabilmente esposto ad altre sparatorie. Le “stranezze” sospette in questa vicenda sono altre...».

 

Quali?
«La cosa brutta è che di tutto ciò non è stata data notizia. Tutto questo convoglio appena arriva a Baghdad dà notizia, lancia l’allarme, dice siamo stati attaccati e abbiamo avuto un morto e un disperso. Lo dice alle autorità, lo dice all’ambasciata, lo dice a tutti. E nessuno di questi lo rende noto. Per quanto riguarda Baldoni, si va avanti per cinque giorni a dire “chi sa dove sarà Baldoni”, sarà andato per i fatti suoi, magari alla ricerca di uno scoop, mentre loro lo sanno che Enzo è stato rapito in questa circostanza e non lo dicono».

 

Qual è l’ipotesi che si sente di azzardare su questo lungo silenzio?
«Ci sono varie ipotesi e adesso ci stiamo lavorando. Prima di tutto, il problema è di capire perché è stato attaccato questo convoglio. In secondo luogo, occorre capire se all’interno di questo convoglio cercavano qualcuno in specifico, perché, per esempio, l’uccisione così brutale e accanita di questo Ghareeb è inusuale per tutte le storie di rapimenti in Iraq, e quindi chi era realmente questo Ghareeb. In terzo luogo, come al solito essendo in Italia ci possono essere delle spiegazioni minime, di quelle impiegatizie: siccome il convoglio non è autorizzato, forse è meglio non farlo sapere, per evitare dei guai...Un’altra ipotesi è che dietro questi silenzi c’è qualcosa di più, di più grave e inquietante, che investe la figura di un “cane sciolto”, e per questo meno controllabile, quale era Baldoni. Sta di fatto che tutte le persone che hanno visto, che sono state testimoni, hanno avuto abbastanza una consegna del silenzio, nel senso che nessuno di questi ha parlato, all’ospedale della Croce Rossa non si poteva entrare, non rispondevano...».

 

Si può sostenere che attorno alla vicenda, finita in tragedia, di Enzo Baldoni vi sia stata una congiura del silenzio?
«C’è stato il silenzio. Grave. Assordante. Sospetto. Se questo silenzio sia stato una congiura al momento francamente non lo so. Perché potrebbero essere una serie di piccoli interessi che hanno provocato questo silenzio; però qualcosa di più penso che ci sia stato. Il sequestro è avvenuto il venerdì pomeriggio del 20 agosto, se uno dà la notizia, come è stata data ai canali diplomatici, all’ambasciata, la stampa doveva esserne informata e i telegiornali della sera avrebbero aperto con la notizia: attaccato un convoglio della Croce Rossa italiana, un morto e un disperso. Questa è la notizia. E il disperso è un giornalista free-lance italiano che era assieme al convoglio. Questa cosa qui non è stata voluta. Non so se si possa parlare di una vera e propria congiura, ma certo si tratta di qualcosa di molto grave. Soprattutto è grave perché si è lasciato che nei numerosi giorni seguenti venissero alimentate tutte le ipotesi di dove fosse Baldoni, sarà qua, sarà là, sarà alla ricerca di uno scoop, era da solo...mentre la verità la sapevano già, sapevano che il convoglio era stato attaccato e che Enzo era stato rapito».


L’uccisione di Enzo Baldoni riattualizza, se ce ne era bisogno, la tragedia irachena....
«Dal “pantano” iracheno occorre venirsene via. È la verità. Perché da questa storia si scopre che tutto l’Iraq è diverso da come ci viene dipinto, Da questa storia si scopre che non esistono strade sicure, che non c’è alcun controllo del territorio, che ci sono bande di predoni e di gruppi terroristi che dominano tutte le parti, che non si riesce a garantire una sicurezza minima. Io sono sempre stato contrario a mandare delle truppe lì, adesso a maggiore ragione mi chiedo cosa ci stanno a fare, se non danno neanche le notizie di quello che succede. Quando si dice “siamo in contatto con tutti”, “abbiamo attivato i nostri canali”, i servizi.... In realtà noi siamo molto, molto deboli in qualsiasi azione di intelligence, in qualsiasi iniziativa di controllo del territorio. Questa è l’amara verità. E la ricostruzione della morte di Enzo Baldoni testimonia questo. Ne tengano tutti conto».

 

Se dovesse raccontare ai lettori de l’Unità chi era Enzo Baldoni, cosa direbbe?
«Direi questo: prendi un uomo grande e grosso, di 56 anni, molto allegro, molto socievole, che quando parla con una persona si vede che quella persona lo interessa veramente. Enzo era una persona positiva, che voleva fare delle cose positive nella vita. Vuole arrivare, vuole vedere, vuole raccontare. Una curiosità a cui abbinava uno straordinario talento di raccontatore di storie e di persone. Questo era e resta per noi Enzo Baldoni: una bella persona».